Bardüghè, 1639 m
Se il tempo libero scarseggia, cerco di essere fantasioso e mi ritaglio qualche ora per la montagna quando possibile, per esempio la mattina presto.
di Lorenzo Clementi |
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Pandemia e telelavoro non fanno differenza, come scrivevo già l'anno scorso, settembre e ottobre sono mesi impegnativi e le uscite nella natura mi aiutato a riequilibrare le energie. Il tempo libero è scarso, devo essere un po' flessibile e creativo per riuscire a fare qualche attività all'aperto. Un lunedì mattina di due settimane fa mi alzo presto e parto a corsa da Costa Piana, frazione di Vogorno, sul sentiero a zig-zag che sale verso Bardüghè. Il cielo è terso e pieno di stelle ma senza luna, nel bosco è buio pesto e la pila frontale illumina il sentiero quanto basta per vedere dove mettere i piedi.
Le ore e i minuti prima dell'alba hanno già di per sé qualcosa di onirico, una sensazione che viene accentuata dallo sforzo fisico. All'inizio i pensieri sono confusi e mi si presentano in testa frasi e immagini apparentemente senza alcun nesso logico. Durante la prima parte della salita sono accompagnato, tra le altre cose, da "4, Passage Rochebrune", l'indirizzo dell'undicesimo arrondissement dove hanno vissuto i miei genitori durante il loro soggiorno a Parigi.
Ad una curva manca poco che incespichi in un camoscio, addormentato in mezzo al sentiero. Probabilmente accecato dalla mia pila frontale si alza ma non si sposta: confuso e impaurito, resta immobile. Spengo la pila e, passandogli accanto, riesco persino a fargli una carezza, lui si muove appena di un metro e io riprendo la salita.
I pensieri sembrano essersi ordinati di colpo. Mi balenano per la testa formulazioni perfette che potrei utilizzare per certi documenti di lavoro, mi si presentano nuove interpretazioni e punti di vista a cui non avevo mai pensato. Ho la tentazione di fare una pausa per mettere tutto nero su bianco, ma non ho nulla per scrivere.
A Bardüghè fermo il cronometro: un'ora e due minuti, mi sarebbe piaciuto restare sotto l'ora, ma niente da fare. È ancora notte, entro in capanna e cambio i vestiti sudati, poi ritorno fuori per godermi lo spettacolo dell'alba e per scattare qualche foto. «Certo che, viste da quassù, le frontiere sono proprio poca cosa...», mi dico. È l'ultimo pensiero che ricordo di quella mattina. Poi, con il sorgere del sole, tutte le belle formulazioni e le idee brillanti svaniscono velocemente e alle otto e mezzo, seduto alla scrivania in ufficio, mi dico che avrei fatto bene a portarmi carta e penna.